Nido Qui Quo Qua

Fiabe per bimbi con la celiachia

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@theprincess
icon1  view post Posted on 8/4/2010, 20:06




Grattugina, la bambina speciale



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Grattugina era una bambina piccolina. Anzi, piccolissima. Tutti i giorni la mamma le diceva "Mangia Grattugina, così diventi grande!" e lei chiedeva "Grande come un filo?". "Sì, grande come un filo" rispondeva sorridendo la mamma.

Ma la bambina cresceva poco, anzi pochissimo. All'asilo era la più piccola e, poiché era leggerissima, riusciva a stare in braccio alle dade per tanto tempo. Così succedeva spesso che, mentre gli amici giocavano da soli, Grattugina si faceva coccolare dalle maestre. Così minuta, le veniva sempre offerto molto cibo e, visto che non ingrassava, poteva mangiare tutti i dolci che voleva: gelati, cioccolatini, caramelle, lecca-lecca, zucchero filato, torte e pasticcini; tutto a volontà. Una vera pacchia! Dalle nonne, poi, era proprio un trionfo. Le povere nonne passavano giorno e notte a preparare i dolci per Grattugina pensando, così, di vederla crescere. E ogni tanto controllavano se era cresciuta. Ma Grattugina cresceva poco e, soprattutto, odiava questi controlli. "Non voglio fare la misura!" strillava dimenandosi e scappando. Le nonne erano veramente tristi. Ma Grattugina, no. Non riusciva a capire quale fosse il problema. Lei stava benissimo: giocava come una bambina tutto il giorno, poteva mangiare quello che voleva e si faceva coccolare come una bambolina. Più bello di così!

A volte la bambina finiva dentro la scatola dei biscotti e ci stava delle ore. “Cosa farà là dentro?” si chiedevano tutti. “Grattugina vieni fuori!”.Ma lei non usciva. Passava tutto il tempo a giocare e a mangiare. Faceva delle torri enormi con i biscotti e si divertiva a saltare di torre in torre finché queste non cadevano. Spesso, dopo aver giocato tanto, si sentiva stanca e si addormentava. Certo, i biscotti erano materassi un po’ duri ma, se la trovava, si coricava sopra un pezzo di torta e allora stava molto più comoda. Quando usciva tutti le facevano sempre tante domande e lei rispondeva: “Stare lì mi piace, mi piace da ridere!”. E ogni giorno passava sempre più tempo nella scatola dei biscotti.

Un giorno il papà e la mamma decisero di portarla da un grande dottore per vedere se c'era una medicina che potesse farla crescere. Nel momento in cui entrarono in ospedale Grattugina sentì i brividi di paura e cominciò a piangere. La mamma la prese in braccio e le fece tante coccole e anche il papà cercò di tranquillizzarla facendola ridere. Ma Grattugina era molto preoccupata. Delle signore vestite di bianco le infilarono un ago nel braccio e le tolsero del sangue. Mamma mia che pianti! Che urla! Quando entrò dal grande dottore Grattugina disse subito, un po' arrabbiata e preoccupata, "Non voglio fare la misura, non la voglio fare". E il grande dottore la calmò, le parlò dolcemente e a bassa voce.

Le chiese se le piaceva andare al mare e Grattugina raccontò dei suoi sabati in piscina con il babbo. Raccontò dello scivolo dal quale si tuffava in acqua e delle tartarughe che vedeva sul fondo. Intanto il grande dottore, che aveva le mani morbide e leggere, la svestiva e la visitava. Grattugina non si accorse di nulla e, quando la visita finì, osservò "é bravo questo dottore. Bravo questo dottore".

Ma cosa era accaduto? Cosa aveva scoperto il grande dottore dopo tutti gli esami che aveva fatto a Grattugina? Aveva scoperto che era una bambina speciale, molto speciale e, come tale, per crescere doveva mangiare una pappa speciale, un po' diversa da quella dei suoi amici, ma non tanto. Il grande dottore aveva detto al papà e alla mamma di Grattugina che se avesse cominciato a mangiare la pappa speciale nel giro di qualche mese avrebbe cominciato a crescere come gli altri bambini, anzi di più.

Quella sera Grattugina mangiò la pappa normale e così fece per qualche giorno perché ci volle del tempo affinché la mamma comprasse tutte le cose speciali che servivano a Grattugina. Intanto parlò con le dade dell'asilo e spiegò tutto anche alle nonne. Tutti si prepararono ad iniziare la dieta speciale della bambina.

Grattugina iniziò la dieta un sabato, a casa con il papà e la mamma. Fino, il fratellino, la guardava attento e consapevole: a scuola con lui c'era un'altra bambina che doveva mangiare la pappa speciale e lui, quindi, sapeva già tutto! Ci vollero un po' di giorni per abituarsi alla novità e anche le dade dell'asilo, Dani e Manu, aiutarono tanto Grattugina a capire il cambiamento. Quando tornò all'asilo, la settimana successiva, Grattugina venne coccolata ancora di più. Ad ogni pasto Dani e Manu si sedevano accanto a lei per controllare che mangiasse la propria pappa, preparata con ingredienti speciali dalla cuoca Chetta, e che non cercasse di assaggiare o portare via il pane agli amici. Il problema del pane, in effetti, fu grande perché a Grattugina non piacevano i panini che la cuoca Chetta le dava. Come avrebbe voluto mangiare il panino degli amici! Una volta ci provò veramente e fu fermata dalle dade! In un momento di ribellione e rabbia, Grattugina finì per dare un colpo al piatto e buttare tutta la pappa speciale per terra! Che brutto lavoro e che confusione ne seguì! I suoi amici la guardarono e sorrisero divertiti, le dade fecero gli occhi brutti e la sgridarono e Grattugina si sentì triste, tanto triste ed arrabbiata. Tra l'altro rischiò anche di rimanere senza pappa! Così Dani e Manu, che le volevano tanto bene, impararono a metterle nel piatto poca pappa e a tenerne sempre un bel po' nel contenitore sul carrello. In questo modo, dopo aver fatto i capricci e aver sciupato il primo piatto di pappa, Grattugina poteva mangiare il secondo. Per fortuna questi incidenti non succedevano in continuazione e, giorno dopo giorno, accadevano sempre meno.

Col passare del tempo questa nuova situazione divenne semplice e naturale. Per di più, Grattugina riuscì a capire che c'erano molti vantaggi: tutti la coccolavano decisamente più di prima e le dicevano meno "No!", le nonne passavano le giornate a cucinare torte speciali, "biscotti dei giardini", pizze, piadine e focacce speciali. Oltre ad essere buone, queste prelibatezze, erano anche tutte per lei! Nessuno poteva mangiarle, nemmeno Fino, il fratellino. E lei era contenta, molto contenta di essere così "speciale".

E la scatola dei biscotti? Era sempre là, piena di biscotti, ma di biscotti speciali. Ogni tanto Grattugina si tuffava dentro e giocava, mangiava e dormiva felice


Come una vera principessa



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In un regno piccolo piccolo vivevano gnomi, fate e folletti. E vivono ancora: chi li ha visti dice che sono alti una spanna, si nascondono facilmente nei boschi e passano il loro tempo allegramente, danzando e giocando tra i fiori.

La storia che ti racconto è accaduta veramente e, se hai pazienza, te lo dimostrerò.

Un giorno il piccolo regno si svegliò in subbuglio. La figlia della regina delle fate stava male: aveva dei terribili mal di pancia e il viso si era coperto di piccolissimi punti rossi. La sovrana le aveva provate tutte, ma Maia, sua figlia, non guariva.

In preda alla disperazione, la giovane principessa si lamentava: non poteva più partecipare ai balli… e lei amava tantissimo danzare, non riusciva più a prendere parte ai banchetti reali... e lei aveva sempre fatto grande onore ai piatti degli chef e, soprattutto, non sembrava più neanche una principessa, ora che era così a puntini!
“Voglio guarire! Non voglio questi punti rossi!”, urlava continuamente Maia. E un giorno, un triste giorno, decise: "Non uscirò più dal castello finché non saranno passati!"

Trascorsero le settimane, i mesi, gli anni e nessuno più vide la figlia della regina delle fate. Il vento e gli uccelli portarono la notizia in tutto il piccolo mondo, che divenne sempre più triste.

Venutolo a sapere, dal suo castello in cima alla montagna, il re degli gnomi inviò alla regina il proprio medico personale, il dottor Piccolomini.
Lo scienziato partì per il lungo viaggio: attraversò sette mari, dieci montagne, nove colline e, alla fine, giunse al castello della regina delle fate. Esaminò la principessa e sentenziò subito: "Se fate quello che vi dico, Maestà, vostra figlia guarirà molto presto. Basterà che segua una dieta speciale; in poco tempo non avrà più dolori e il suo bel viso tornerà a risplendere di bellezza come già in passato. Anzi, di più".
Il dottore estrasse una piuma, la intinse in un inchiostro invisibile ed incominciò a scrivere su un foglio piccolissimo. Man mano che scriveva il foglio si allungava e, quando finalmente ebbe finito, dalla stanza della principessa il pezzettino di carta era arrivato fino al salone da ballo.
Dopodiché scese nelle cucine del castello e parlò agli chef di corte. Subito la principessa iniziò una dieta speciale e, sebbene lentamente, migliorò fino alla guarigione.

Senza più dolori, né puntini, però, Maia non era felice. "Mangiare diverso dagli altri NON FA per una principessa, NON FA di me una persona speciale, ma solo una malata!" si lamentava.
La regina delle fate, non sapendo cosa fare, interpellò nuovamente il medico, il quale parlò a lungo e in gran segreto alla Sovrana. Nessuno seppe mai cosa si dissero.

Il giorno dopo, la Regina annunciò che aveva deciso di organizzare una grande festa, alla quale invitò tutto il regno. La principessa Maia, sebbene riluttante, si mise l’abito meraviglioso che la regina le fece fare per l’occasione e si recò alla festa bella più che mai. Ma era triste… e si vedeva.
Uno squillo di trombe annunciò l’inizio del banchetto e gli invitati cominciarono a mangiare. Anche Maia fu servita: per lei continuarono ad entrare portate ricchissime, cibi preparati con arte e dal profumo paradisiaco per molto, molto tempo. Non si erano mai visti piatti simili. E non finivano più… . Gli invitati erano esterrefatti e il mormorio si sparse presto per tutta la sala: "Che pranzo regale!", "Mai vista roba del genere…", "Senti che profumo!" e "Maia mangia veramente da regina!"

La principessa non credeva alle proprie orecchie e pian piano cominciò a sorridere, felice di essere così SPECIALE, felice di essere una vera PRINCIPESSA!

Ecco perché se una bambina mangia cibo speciale, si dice “Mangia come una vera principessa!”

Il rimedio della vecchia Igea



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Tanto, tanto tempo fa, in un bosco buio e profondo chiamato Sdricca, in un antro umido e scomodo scavato nella roccia, viveva una vecchina che si chiamava Igea.
Igea aveva la schiena ricurva e la sua pelle sembrava cartapesta, tante erano le rughe che le solcavano la fronte, ma era molto saggia e curava con le erbe dei prati tutti gli animaletti del bosco. Nel suo calderone nero che bolliva da sera a mattina e da mattina a sera sapeva preparare pozioni magiche che davano risultati eccezionali.

Un giorno il folletto Marangone, buffo con la sua casacca rossa e i suoi due piedoni a punta, venne a trovare la sua amica Igea e le raccontò le ultime notizie del bosco. Le disse come stava Nello il pipistrello, che aveva ancora paura di volare di notte, le parlò di Mina la fatina, che colorava il cielo con i colori dell’arcobaleno, della volpe Rica che non riusciva a stare senza la mamma un secondo e, infine, le parlò di Ciccio il riccio che, per una strana ragione, aveva iniziato a perdere tutti i suoi aculei e a dimagrire a vista d’occhio... prima era proprio bello, tondo a pallina, e ora era magro come un fuscello!
La mamma di Ciccio il riccio e il suo papà Poci avevano interpellato il Gufo Saggio, il quale non aveva capito assolutamente quale fosse il problema del piccino, nonostante avesse consultato il vecchio Libro dei perché custodito sotto la vecchia quercia.
Il piccolo riccio intanto si sentiva sempre stanco, non aveva voglia di giocare con gli amici del vicinato, il suo umore era triste, non aveva tanto appetito e il suo pancino era spesso gonfio e dolorante (nemmeno le tazze profumate del fiore di camomilla lo calmavano)... La mamma lo rimproverava perché lasciava sempre nel piatto di gusci di noce le bacche rosso vermiglio che lei la sera raccoglieva con tanto amore. Di notte Ciccio non dormiva sereno e i suoi sogni erano piuttosto incubi in cui spesso compariva l’acchiappa-sogni che gli faceva tanta paura...

Igea, la vecchia del bosco della Sdricca, ascoltò commossa il racconto del folletto Marangone e pensò di recarsi presto in visita al piccolo riccio. Indossò il suo vecchio capello a tesa larga che la riparava dal sole e dalla pioggia, mise ai piedi dei grossi scarponi logori e, al calar della sera, quando tutte le stelline si accendono nel cielo, si mise in viaggio accompagnata dalla sua fidata gattina nera di nome Gigia: nel buio, gli occhi gialli del suo amico felino le avrebbero indicato la giusta via.

Il cammino durò diverse ore prima che Igea trovasse la tana della famiglia dei ricci, una vecchia ciabatta abbandonata lungo le rive del fiume. Bussò alla porta e venne ricevuta e fatta entrare all’interno della simpatica abitazione dove tutto era in perfetto ordine e profumava di pulito.
Ciccio se ne stava diffidente in un cantuccio, Igea lo accarezzò, gli guardò gli occhietti, gli fece tirar fuori la lingua (come odiava lui questa richiesta fattagli da tanti medici del bosco!) e con un piccolo bastone di nocciolo lungo e sottile gli toccò il pancino che spesso aveva gonfio e dolorante. Ciccio si addormentò e null'altro accadde... la vecchia scosse il capo e, con fare pensieroso, chiese alla mamma di cosa mai Ciccio andasse ghiotto. "Di dolci, pizza e pane..." rispose prontamente la donna, “e non gli piacciono le verdurine fresche e la frutta del nostro orticello”.
E già... era risaputo che il piccolo riccio andava pazzo per queste prelibatezze!

Igea si riservò di tornare al più presto con la soluzione per il misterioso malessere. "Fidati di me", disse la vecchia al piccolo riccio, ”dovrà per due volte tramontare il sole e io avrò il rimedio per te!”.
Nella mente di Igea si stava facendo strada la convinzione che, se fosse prontamente partita alla volta del monte Roccioso, sarebbe stata confermata dall’orco Bilaccio. Decise così di portare con se' il piccolo riccio, lo fece entrare in una vecchia gerla che mise sulla schiena e gli disse di stare tranquillo e nascosto.
Si incamminò quindi con passo veloce e spedito su per il viottolo che saliva ripido verso la parte della montagna che rimaneva più in ombra. Era estate e faceva molto caldo, la gattina Gigia faceva fatica a tenere il passo della vecchia, ma si sforzava di non perdere il sentiero e la sua padrona.

Ecco ad un tratto aprirsi uno spazio ombreggiato alla fine del quale si trovava una grotta buia e nascosta da frasche di acacia. Un topino con un berretto a pallini e una camicia rosa se ne stava sdraiato con le braccia dietro alla nuca su di un cesto vecchio e logoro. Quando vide arrivare Igea il topino si alzò di scatto risvegliandosi dal sonno del primo pomeriggio e chiese “Chi va là?” “La vecchia Igea, saggia del bosco” rispose la donna, “sono qui perché vorrei incontrare l’orco Bilaccio per un consulto quanto mai urgente”. Il topino si alzò con fare indispettito sulle zampine posteriori, come colui che vuole essere forte e fiero, e le disse: “Donna, tu sai che prima di accedere alla grotta dovrai superare tre prove? La prima prova è di astuzia, la seconda di bontà e la terza di pazienza..."

Fu così che Igea dovette dapprima rispondere ad un indovinello custodito in un libro vecchio e polveroso che il topino estrasse da un baule di legno lasciato tempo prima dai pirati. Le fu chiesto come seconda prova di medicare con il fiore giallo della calendula le ferite alle zampe di un anziano Lupo guardiano della grotta che si era provocato profondi tagli difendendosi da un orso cattivo durante la notte. Per concludere, Igea dovette rammendare, con l’aiuto del suo gatto fedele, che ci vedeva benissimo, una giacca tutta sgualcita dell’Orco in persona (Ciccio il riccio prestò uno dei suoi aculei più appuntiti per ultimare l’operazione).
Dopo che i tre ebbero superato le prove il topino, soddisfatto, girò un'antica chiave d’argento nella serratura di un portone di ferro battuto posto all’inizio della caverna, il portone cominciò a scricchiolare e, con un tonfo sordo, si aprì. Il gatto, Igea e Ciccio il riccio, nascosto tutto tremante nella gerla, entrarono in una galleria buia ed umida, gocce d’acqua cadevano pesantemente dal soffitto...
Il topino, con passo lento e stanco, faceva strada illuminando il cammino con una candela dalla luce fioca.

Ad un tratto un grosso urlo fece tremare le pareti di roccia, e il gruppetto si fermò di colpo.
L’Orco Bilaccio comparve in tutta la sua mole: era grande, peloso con un naso ciondolante sino alla bocca ampia da cui sbucavano dentacci gialli e affilati: “Chi disturba il mio sonno in queste ore calde del pomeriggio?!“ Ciccio il riccio dal suo nascondiglio si sentì raggelare... e Igea, con voce gentile ma sicura, rispose: “Sono la vecchia saggia del bosco, vengo da te per un consiglio e ti porto in dono una pietra d’ambra dai colori caldi che potrai appendere al collo come ciondolo prezioso”, così dicendo estrasse dalla tasca il monile e lo posò ai piedi del grande Orco che la guardò con aria diffidente. “Accomodatevi”, bofonchiò dopo aver afferrato con la mano pelosa il prezioso gioiello.
Igea raccontò all'Orco di Ciccio il riccio e l'uomo soffregò pensieroso la sua barba ispida ed incolta... quindi da un armadio di legno massiccio tolse una scatola di velluto rosso, l’aprì e ne trasse un pezzo di vetro colorato, era un vetro fatato che aveva ricevuto in dono dalla Principessa Carlotta quando, grazie ad un piano astuto, l’aveva salvata dalle grinfie del perfido Mago Lidra.
L'orco posò il pezzo di vetro sotto un raggio di luce e questo si illuminò di una miriade di bagliori colorati che inondarono l'antro della caverna. Bilaccio osservò con attenzione quell'esplosione di colori, quindi sentenziò: "Ciccio il riccio non può mangiare il glutine e tutto ciò che lo contiene, questo per lui è dannoso! Cosi vedo scritto nei colori dell’iride miracolosa".
La vecchia Igea vedeva confermata la sua ipotesi: il piccolo riccio non doveva mangiare i dolci, il pane e tutto ciò di cui fino ad allora era stato ghiotto... certo, sarebbe stato un bel guaio!
"Se il piccolino mangerà tutto ciò che produce il paese dei folletti, guarirà in sei lune piene", proseguì l’Orco concludendo la sua profezia, si diresse poi verso un armadio dalle vetrate colorate e ne estrasse un'ampolla contenente una sostanza di colore rosso... "Sette gocce di questa pozione dovrebbero aiutare il piccolo e restituirgli il suo bel colorito!".
Ciccio il riccio finalmente non aveva più paura, uscì tranquillo dal suo nascondiglio e, insieme alla donna e il suo fidato gatto, salutò Bilaccio. Velocemente, al tramontare del sole, i tre ripresero la strada di casa dopo aver riposto nello zainetto l'ampolla con il liquido rosso. Nel loro cammino, decisero di passare nel paese dei folletti, che si trovava in una bassa radura al limitare del bosco.

I folletti vivevano nei tronchi degli alberi, cuocevano pane e sfornavano dolci e focacce prelibate a base di riso e di mais di cui andavano ghiotte le fate dei fiori. Igea, per qualche moneta, acquistò una cesta colma di quelle prelibatezze, Ciccio il riccio cominciò a sgranocchiare qualche pasticcino e lo trovò davvero molto gustoso...

Quando giunsero a casa mamma e papà abbracciarono Ciccio, ascoltarano la strana storia del glutine... e assaggiarono insieme i nuovi cibi: erano proprio buoni! La mamma somministrò a Ciccio la pozione di color rosso, questa si rivelò molto gustosa se mescolata al succo delle fragole...
La Vecchia Igea, prima di riprendere il suo cammino, raccomandò alla mamma di Ciccio di cucinare sempre alimenti senza la sostanza che per lui si era rivelata così dannosa, in quel modo, in poco tempo, il piccolo sarebbe rifiorito. Dal canto loro i folletti avrebbero fornito in grandi quantità ciò di cui Ciccio aveva bisogno.

E così fu... trascorsero sei lune piene e Ciccio tornò ad essere bello, con gli aculei affilati e ben colorito... quell’anno, sostenuto e incoraggiato dal suo bravo papà Poci, vinse il torneo di corsa del bosco e da tutti venne definito un riccio veramente speciale!

www.dienneti.it/celiachia/index.htm
 
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